Misuriamo la distanza di UCAC4 390-131259

In un articolo del 5 ottobre scorso (“Nuova variabile censita da astrofili”, link) descrivevo la scoperta da parte di un gruppo di astrofili della variabilità della stella UCAC4 390-131259 situata nel Capricorno e risultata essere una variabile di tipo RRc.

Screenshot del software Maxim Dl che mostra la curva di luce ottenuta in una serata osservativa a Medelana.

Il suo range di variabilità va dalla 15,2 alla 15,57 nella banda fotometrica V, assai arduo per le osservazioni con telescopi amatoriali. Il suo periodo è di 0,297 giorni, pari a 7,132 ore.

In quell’articolo ho illustrato come le stelle RRc siano una sottoclasse delle Cefeidi, una classe di stelle variabili di eccezionale importanza nella storia dell’ astronomia.

Come già detto, esistono due ragioni principali per cui una stella può essere una variabile.

La prima ragione sta nel fatto che la luce di quella stella viene occultata da qualcosa che transita davanti alla linea di vista tra noi e la stella. Questo qualcosa può essere un pianeta (ciò è osservabile solo se la stella è a noi molto vicina) oppure una stella compagna, in un sistema duplice in cui il piano di rotazione giace sulla stessa linea di vista tra noi e la stella. Queste variabili sono dette “estrinseche” proprio a causa del fatto che la ragione della loro variabilità risiede al di fuori della stella stessa.

Esistono poi le variabili “intrinseche”, cioè quelle che variano proprio per motivi “interni”, strutturali. Lo studio di questi motivi costituisce una branca affascinante dell’astrofisica, nella quale non intendo entrare. Sfioro l’argomento solo per dire che una classe di variabili intrinseche è appunto quella delle Cefeidi, stelle che pulsano con regolarità, gonfiandosi e sgonfiandosi ritmicamente.

Mappa della variabile come presente sul sito Aladin

Come tutti sanno la vita di una stella si basa sull’esistenza di un equilibrio. Analogamente a qualsiasi altra cosa in natura, un sistema entra in vita e ci rimane sino a che esiste l’equilibrio su cui si fonda; al cessare delle condizioni di equilibrio il sistema cessa di esistere. In natura gli equilibri che tengono in vita sistemi a noi noti sono spesso assai complessi, ma per la fortuna degli astrofisici l’equilibrio che tiene in vita una stella è molto semplice, essendo infatti dato dall’uguaglianza di due forze uguali e contrarie. Esse sono la forza di gravità – che spinge la materia verso il baricentro comprimendola fino a farle raggiungere temperature “astronomiche”- e la forza della esplosione termonucleare  – che invece spinge in fuori.

La stella si forma nel momento in cui l’equilibrio tra queste due forze si realizza e muore nel momento in cui una delle due prevale. Come tutti sappiamo prima che questo equilibrio venga meno passano molti, molti anni, per esempio nel caso di stelle come il sole anche 8 miliardi. Quando pensiamo all’equilibrio, di solito pensiamo ad un ciclista professionista che viaggia ad alta velocità perfettamente verticale su pochi millimetri di battistrada; ma esistono anche i ciclisti in erba che pedalando adagio oscillano paurosamente a destra ed a sinistra, ma siccome anche essi non cadono mai possiamo dire che anche il loro è un equilibrio, anche se un po’….mosso. La stessa cosa vale per le Cefeidi, in cui per un po’ prevale una delle due forze e per un’ altro po’ quell’altra.

Ecco perché si gonfiano e si sgonfiano e nel gonfiarsi la loro luminosità diminuisce e nello sgonfiarsi aumenta. La fondamentale importanza delle variabili Cefeidi per l’astronomia sta nel fatto che esiste una relazione tra periodo di variabilità e luminosità intrinseca

M = A – 2.5 * log (P)
dove A è una costante, M è la magnitudine intrinseca e P il periodo. Ciò significa che se conosco il periodo P posso calcolare la magnitudine intrinseca, ma se conosco la magnitudine intrinseca e so la magnitudine apparente m, che è quella che misuro da terra con il telescopio e la fotometria, allora posso ricavare la distanza tramite l’equazione del “modulo di distanza”:

m – M = – 5 + 5 * log (d)
dove d è appunto la distanza della stella.

Ecco quindi un formidabile strumento per “misurare” le dimensioni del cosmo, strumento che ci ha permesso di basare tutte le supposizioni astrofisiche su solidi dati osservativi.

Dunque qualunque astrofilo che scopre una Cefeide può calcolarsi a che distanza essa è. Anche noi con la UCAC4 390-131259. Prima di accingerci al calcolo occorre un’ulteriore precisazione, che in realtà ci semplifica la vita. Come detto la stella in esame è una RRc, che a pari di tutte le altre RR Lyrae, ha una fondamentale caratteristica: la magnitudine assoluta M non dipende dal periodo P ed è costante, pari a 0,5. Non occorre quindi calcolare M con la prima delle due equazioni, ma è sufficiente usare solo la seconda.

m – M = – 5 + 5 * log (d)
Andiamo quindi a sostituire ad M il valore 0,5 (sempre in banda V) ed ad m il valore 15,39 misurato da noi (anch’esso in banda V) quindi:

15,39 – 0,5 = – 5 + 5 * log (d)
Il risultato è d = 9506,05 parsec. Dato che il parsec vale 3,26156 anni luce, allora la distanza la posso esprimere come 31004,55 anni luce.

Non proprio vicinissima quindi. Si potrebbe obbiettare che in realtà la stella è più vicina, perché non ho tenuto conto del problema dell’assorbimento interstellare. In effetti la luce della UCAC4 390-131259 viaggia per moltissimo spazio all’interno della nostra galassia, basta pensare che la distanza che abbiamo calcolato è all’incirca un terzo delle dimensioni della galassia, ed essendo essa nel Capricorno (e cioè non distante dal piano galattico) si può ben supporre che la luce abbia attraversato un bel po’ di materia interstellare.

La polvere interstellare nelle galassie e attorno a stelle possono interferire nella fotometria.

L’assorbimento che la materia interstellare compie sulla luce della stella fa in modo di “offuscarla” alla nostra osservazione e quindi la misura fotometrica m che compiamo con i nostri telescopi e le nostre camere CCD è inferiore a quella che faremmo se la materia interstellare non esistesse.

Anche per ciò c’è rimedio: la grandi survey astronomiche degli ultimi anni hanno già disegnato, settore per settore del cielo le mappe di tale assorbimento, è sufficiente consultarle ed applicare l’equazione dell’ assorbimento. Siccome l’assorbimento cambia a seconda della frequenza della luce (verso il rosso è minore) in tale equazione è richiesto, giustamente, anche la misura fotometrica in altre bande oltre alla V e ciò rischia di diventare proibitivo con strumenti con il diametro di quelli amatoriali.

Per ora quindi ci fermiamo qui, qualche passo in avanti l’abbiamo fatto.

Lorenzo Barbieri

 

Bibliografia:

Leonida Rosino, “Le stelle variabili”, Collana rivista Coelum n°1 disponibile in sede